Sono passati i giorni

Prefazione di Paolo Vachino



Il titolo della raccolta di poesie fornisce una chiave di lettura dei versi che la compongono: “Sono passati i giorni”. Dove ‘passati’ abita una dolce ambivalenza. I giorni sono trascorsi, passati appunto; ma anche qualche cosa di più grande è contenuta in quei giorni. Passati interi. Ere geologiche in cui si sono mescolate e stratificate emozioni e cose. Stanze della memoria del poeta, che convoca con dolcezza ciò che è stato. Gli stati d’animo dei luoghi abitati dal tempo. Le sue parole sembrano affiorare sulla superficie della vita. I contorni dei volti, la luce dei paesaggi, prendono forma con l’incedere della lettura dei versi. Intrisi di pacatezza e mai di rassegnazione. Pieni di entusiastica nostalgia. Sgorga leggera la pienezza di un vissuto che diventa vita attraverso lo scongelamento provocato dallo stupore del poeta, che riassapora lontani tepori d’infanzia, anche e soprattutto non sua, raccontata proprio come un’arcana profezia, in cui sono già inscritti i movimenti dell’adultità a venire; in cui c’è già tutto l’avvenire. I versi di Luigi hanno la potenza alchemica di spazzare via la patina di giallume che ricopre le vecchie fotografie, riportando lo smalto di un passato rinnovato nel presente della scrittura. Sembrano i ricordi di una generazione intera, di una civiltà che non ha smesso di sognare, piuttosto che le esperienze di vita di un singolo uomo. L’intimità del ricordo che diventa manifesto pubblico. Quasi politico. Agorà metafisica in cui transitano le storie di tutti.
Mi ha cambiato la campagna
e quest'autunno accogliente
un cane che cerca Dio tra i cespugli
e un orizzonte di casa”.

Sembra descrivere il senso profondo della ricerca poetica: un cane che cerca Dio tra i cespugli. L’infinito tra  le foglie. Dio che gioca a nascondino con gli animali. “La nostalgia è anche del presente, poi / si torna a casa”. La trama inossidabile che lega i giorni delle esistenze. L’ulissiade contemporanea, dove Itaca è ovunque, e il ritorno a casa è solo un anelito di guarigione dalla nostalgia permanente. E quando compare la parola ‘crepuscolo’, non riecheggia la voce di Pascoli, ma quella ancora più atavica di Luigi, che nel crepuscolo sente e trasmette la caligine del mistero, l’oscurità dell’incertezza, il silenzio dei colori. In certe poesie non sono solo le immagini a fare da sfondo, ma tante piccole storie, come smagliature sulla carne del tempo, come capillari rotti e consumati dalle ebbrezze emotive. Giorni passati e giorni di passaggio. Transiti attraverso il territorio della bellezza - spesso inesplorata - delle marginalità penombrali. “Ora il sole è timido / abbassa la testa tra i cespugli”. Due versi magnifici, che mostrano lo splendore di chi prova vergogna per la troppa luce che emana. La grandezza che non si arrende, non si piega; anzi, si spiega al mondo, per incontrarlo. Proprio come le poesie di Luigi, che vogliono incontrare il lettore, per rendergli testimonianza dell’amore verso la vita, che non si disperde se si mantiene in forma. E per Luigi la forma è quella della poesia, che preserva dall’oblio, rifecondando l’immaginario impoverito di questo terzo millennio. La fierezza di essere uomini e non semidei, condannati a cercare ogni giorno spiragli di felicità. Con ogni mezzo. Per giungere a sperimentare la forza vitale di
una saggezza conquistata in tanti errori
e la malinconia
per quelli non commessi”.


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Recensione di Davide Rondoni